E se stavolta avessero ragione i Pubblici Ministeri ?

Il disegno di legge sulla giustizia penale già approvato dalla Camera dei Deputati e oggi all’esame del Senato contiene, insieme ad alcune disposizioni di mero dettaglio, una serie coordinata di norme sul processo telematico, sul processo in assenza dell’imputato, sulla durata delle indagini preliminari e sui criteri di valutazione degli elementi acquisiti in tale fase, sui riti alternativi e sullo svolgimento del dibattimento oltre a un robusto e interessante intervento sul sistema sanzionatorio e sulla giustizia riparativa.

Tutti gli interventi proposti, compresi quelli organizzativi come l’introduzione dell’Ufficio del Giudice, al quale sono state destinate grandi risorse economiche, sono contenuti nell’articolo 1 del DDL e hanno come scopo finale quello, più che condivisibile, di imprimere un’accelerazione consistente ai tempi di durata dei processi penali, condizione richiesta all’Italia per la fruizione dei fondi straordinari la cui distribuzione è stata decisa dall’Unione Europea per fare fronte alla crisi sociale originata dalla pandemia in corso.

Troppo poco per potersi parlare di riforma della giustizia, ben altri essendo i temi centrali da affrontare per riequilibrare e rendere efficiente un servizio, quello della Giustizia, che mostra limiti di sistema e strutturali da affrontare con interventi certamente più incisivi e difficili.

Vero che le norme sopra richiamate non saranno immediatamente efficaci, perché necessitano dei successivi decreti legislativi attuativi della delega rilasciata dal Parlamento al Governo, ma è certamente anomalo che il dibattito pubblico, soprattutto quello giuridico, sia quasi completamente mancato sull’impianto normativo più significativo, che pur avrebbe potuto essere ancora arricchito e migliorato tecnicamente se studiosi e operatori del settore avessero avuto la capacità di intervenire nel dialogo senza contrapposizioni ideologiche o faziose.

Per tutti, o quasi, gli osservatori e i divulgatori il disegno di legge si riduce alle norme di maggiore sensibilità politica, contenute nell’articolo 2 del DDL, che saranno quelle che entreranno immediatamente in vigore, dopo che saranno approvate anche dal Senato.

Si fa riferimento, ovviamente, al tema della durata massima dei processi, e quindi della prescrizione, in relazione ai processi di primo grado, e dell’improcedibilità, in relazione ai processi di impugnazione.

Come è noto, dopo una battaglia politica dai toni accesi, il compromesso raggiunto dai partiti che sostengono l’attuale Governo, contenuto in un maxi emendamento che stravolge larga parte della proposta ministeriale, prevede che la prescrizione cessi il suo corso con la sentenza di primo grado, mentre per i gradi di impugnazione sono previsti dei termini massimi per la celebrazione dei processi (due anni per il giudizio di appello e uno per il giudizio in Cassazione), decorsi i quali l’azione penale diviene improcedibile, con l’ovvia eccezione dei delitti puniti con la pena dell’ergastolo, ai quali, d’altronde, anche nell’attuale sistema non si applica alcuna prescrizione.

Il grande scontro politico al quale abbiamo assistito è andato in scena sulla linea Maginot del blocco della prescrizione dopo il primo grado del giudizio e sul fronte mobile delle proroghe dei termini per la definizione delle fasi di impugnazione, fissato, infine, nel punto in cui, oltre la prima proroga ordinariamente prevista per tutti i giudizi di elevata complessità ( un anno per i giudizi di appello e 6 mesi per i giudizi di Cassazione), saranno consentite proroghe illimitate per alcuni particolari delitti, specificamente elencati al comma 4 dell’articolo 2 del DDL, e ulteriori proroghe pari, complessivamente, a quattro anni e sei mesi per tutti i delitti aggravati dalla finalità di agevolare associazioni di stampo mafioso.

Non esisterà, quindi, un termine certo per la definizione dei processi per delitti di terrorismo ( limitatamente a quelli che prevedano una pena superiore a dieci anni di reclusione), associazione di stampo mafioso, voto di scambio politico – mafioso; violenza sessuale aggravata e di gruppo, atti sessuali con minori, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, associazione sovversiva e banda armata.

E solo di questo si è parlato tra contrapposti proclami politici e piagnistei tecnici privi di qualsivoglia approfondimento scientifico dei temi.

Ma giuste o sbagliate che siano tali scelte mi chiedo se coloro che le hanno adottate hanno tenuto presente la loro poca coerenza logica con il sistema e, soprattutto, ne hanno compreso la concreta incidenza.

La ragionevole durata del processo è un valore espressamente sancito e tutelato dalla nostra Costituzione e declinato, conformemente alla consolidata giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nella legge che prevede la corresponsione di un indennizzo per le parti che subiscono procedimenti penali di durata superiore a sei anni ( e precisamente, tre anni per la fase delle indagini e per il primo grado; due anni per i giudizi di appello; 1 anno per i giudizi in Cassazione), salvi i casi di particolare complessità. La previsione originaria della riforma, quindi, rifletteva esattamente, per le fasi di impugnazione, i termini che la Costituzione e la Corte Europea hanno definito come ragionevoli. Se corretta e conforme ai valori costituzionali e alla stessa giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è la previsione di una proroga, temporalmente definita, dei termini per i procedimenti particolarmente complessi, lo stesso non può certo dirsi per i casi nei quali le proroghe possono succedersi all’infinito. Né la soluzione adottata può essere giustificata razionalmente, e quindi sul piano dei valori costituzionali, dalla gravità dei reati selezionati per il “fine processo mai”. Un delitto, infatti, in relazione alla sua gravità può giustificare, come giustifica, un tempo di prescrizione maggiore di altri, ma certamente non la ragionevole durata del processo, che serve ad accertare definitivamente i fatti e punirne i responsabili ( o a riconoscere l’innocenza degli imputati): un processo può ragionevolmente durare più a lungo di un altro solo se è la complessità degli accertamenti necessari che lo giustifica, a prescindere se il processo stesso sia relativo a fatti di mafia o a un furto o a un omicidio colposo.

E’ giusto, poi, ricordare che in Italia, ancor oggi, nessun delitto, anche quello più banale punito con la sola multa, si estingue per prescrizione prima di sei anni, prorogati quasi automaticamente a sette anni e sei mesi. Nessun delitto, quindi, si prescrive prima che maturi il termine della durata ragionevole di un processo e, anzi, larga parte dei delitti si prescrive in tempi molto maggiori.

Mi permetto poi di dubitare che i redattori dell’emendamento governativo ” di compromesso politico” e i parlamentari che lo hanno approvato abbiano chiaro cosa vuol dire bloccare la prescrizione in primo grado e introdurre l’improcedibilità dell’azione penale nei gradi successivi dato che, al di là dei tecnicismi e oltre i fiumi di inchiostro che si riverseranno sull’istituto dell’improcedibilità, sia questa che la prescrizione producono l’identico effetto pratico di fermare il processo e impedire l’accertamento dei fatti e delle eventuali responsabilità, di impedire la condanna dei colpevoli e l’assoluzione degli innocenti.

Facciamo un esempio banale.

Tizio viene arrestato nel corso di una rapina in banca. Il processo è abbastanza semplice, essendo le prove evidenti dato che la polizia lo ha colto all’interno della banca armato e con il volto travisato mentre ingiungeva ai cassieri di consegnargli il danaro, e si conclude in primo grado, con ogni approfondimento necessario, in tre anni. Da quel giorno ( in realtà da qualche mese successivo, ma non mi addentro nei tecnicismi per non appesantire lo scritto) i giudici avranno tre anni ulteriori per definire i due giudizi di impugnazione (appello e cassazione). In totale, quindi, per semplificare, se il procedimento non si concluderà entro sei anni l’imputato sarà prosciolto nonostante la sua evidente colpevolezza.

Chiederei, a questo punto, al legislatore, e in particolare ai tanti rappresentanti elettivi che si sono agitati per consentire la maggior durata possibile dei processi , se ricordano nel sistema precedente – ovviamente al netto della mai sufficientemente deprecata “riforma Bonafede” che l’attuale disegno di legge ha comunque il merito di archiviare definitivamente senza che abbia mai trovato concreta applicazione – quanto tempo fosse assegnato ai giudici per definire quel procedimento prima che maturasse la prescrizione.

Consapevole che la risposta è imbarazzante e per molti anche sorprendente, la fornisco direttamente io: la prescrizione sarebbe maturata dopo venticinque anni ! Analogo termine sarebbe stato applicato all’estorsione; per il sequestro di persona ci sarebbero voluti addirittura trentasette anni e sei mesi ! L’omicidio stradale si sarebbe prescritto in trenta anni, la concussione in quindici anni ; la corruzione e l’usura in dodici anni e sei mesi.

Oggi lo “stop al processo”, comunque lo si voglia chiamare, interverrà nel tempo, variabile in relazione a ogni singolo processo, che si ottiene dalla sommatoria dello spazio temporale fra il fatto e la conclusione del primo grado di giudizio, aumentato di tre anni per le fasi di impugnazione. Con buona pace del principio di uguaglianza,

Se, ad esempio, un processo per corruzione o per omicidio stradale viene concluso in primo grado dopo otto anni dai fatti, che è già un tempo assurdo, in undici anni sarà tutto finito senza né colpevoli né innocenti, mentre prima, con la tanto vituperata prescrizione, sarebbero stati necessari, rispettivamente, 12 anni e 6 mesi e 30 anni ! E, come dovrebbe essere chiaro, meno durano le indagini e il processo di primo grado e più breve sarà il tempo di “scadenza” della punibilità; così come più sarà grave il delitto perseguito e maggiore sarà lo “sconto” temporale concesso all’imputato per giungere allo “stop del processo”: un processo per rapina o estorsione oggi rimane in vita per 25 anni e uno per sequestro di persona più di 37 anni, mentre domani, ammesso che il primo grado termini anche 15 anni dopo i fatti, al diciottesimo anno il processo, comunque, non potrà più andare avanti.

L’emendamento politico concordato per esigenze elettorali di uno o più partiti e da tutti, o quasi, votato senza alcun approfondimento, sotto la pressione del voto di fiducia, non ha tenuto conto dei riflessi tecnici che quella norma, utile solo come fiore (avvelenato) all’occhiello di pochi e miopi personaggi, produrrà sull’ordinamento, conducendo nella gran parte dei casi al risultato esattamente opposto a quello che i loro sostenitori volevano ottenere.

Ad eccezione di quei pochi reati per i quali è previsto il “fine processo mai”, per tutti gli altri reati gravi, quelli che quotidianamente interessano imputati e vittime, infatti, si sta per creare una sorta di lasciapassare criminale, un enorme indulto mascherato, tanto più facile da ottenere quanto più si scaricheranno sulle fasi di impugnazione, mediante la proposizione sistematica di appelli e ricorsi per cassazione, le ineliminabili pulsioni all’impunità di coloro che sono o saranno sottoposti a processo.

Né tale sistema otterrà il risultato, che dovrebbe costituire l’esplicita finalità della “riforma”, di ridurre i tempi di tutti i processi: al contrario, consentirà di allungare i tempi dei processi per i fatti meno gravi che continueranno così a intasare il sistema giustizia. Processi per banali delitti puniti con la sola multa ( ad esempio l’ingresso abusivo su fondo altrui o il deturpamento o imbrattamento di cose altrui) potranno durare sino a 10 anni e sei mesi, quando oggi lo “stop” viene imposto dopo 7 anni e sei mesi, e i processi per le stesse contravvenzioni ( ad esempio l’apertura abusiva di luoghi di pubblico spettacolo o intrattenimento, oppure il getto pericoloso di cose o il disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone) potranno durare sino a otto anni, invece dei cinque oggi previsti.

Hanno ragione i magistrati che hanno manifestato paura per la prematura fine di tutti i processi, ma solo in relazione ai processi per i fatti più gravi, dato che per gli altri, quelli di minore rilevanza, sarà esattamente il contrario. Hanno torto gli avvocati silenziosi, forse maliziosamente, che difendono la “riforma”, quale che essa sia, purché ci si liberi dalla disgrazia della “legge Bonafede”. E’ assente, perché in vacanza, in smart working o in commissione ministeriale, l’Accademia che non ha neppure alzato il sopracciglio di fronte a tale evidente aporia logica e tecnica.

Infine, per quei reati per i quali è stata ottenuta la medaglietta del “fine processo mai”, è forse utile sapere che la “normale” prescrizione sarebbe scattata solo in tempi lunghissimi: associazione di stampo mafioso: quasi 38 anni; voto di scambio politico – mafioso: 30 anni; violenza sessuale aggravata e atti sessuali con minorenni: 25 anni ; violenza sessuale di gruppo: 30 anni; associazione finalizzata al traffico di stupefacenti: 25 anni ; banda armata priva di finalità terroristica: quasi 19 anni; associazione sovversiva: 12 anni e sei mesi o, se con finalità terroristica, 25 anni.

Molti, hanno evidentemente creduto che per un processo penale la durata di 25/30 anni sia poca cosa e hanno puntato i piedi, sino a minacciare la crisi di governo, per ottenere che quel processo possibilmente duri all’infinito.

Senza accorgersi che, contenti del risultato ottenuto, evidentemente politicamente spendibile di fronte ai propri disattenti elettori, di fare durare all’infinito questi processi, che comunque non avevano certo un termine di “estinzione” che potesse destare preoccupazione ad una mente razionale, hanno bruciato e sacrificato tutti gli altri processi, per fatti ben più gravi, che potranno vedere inopinatamente accorciati, anche sensibilmente, i tempi dello “stop”.

Per rendere evidente l’illogicità del criterio di selezione dei reati che godono del “fine processo mai”, poi, basti pensare che fra questi rientra la semplice partecipazione all’associazione di stampo mafioso, senza commettere alcun reato specifico, ma non vi rientra il suo classico reato fine, l’estorsione, ben più grave e punito con pena ben maggiore; vi rientra la semplice partecipazione all’associazione sovversiva, senza commettere alcun ulteriore reato, ma non vi rientrano alcuni dei suoi più probabili reati fine, il sequestro di persona e la rapina, ben più gravi e puniti con pena ben maggiore.

Va aggiunto, infine, che se per i reati del “fine processo mai” i giudici non saranno in grado di motivare logicamente, come certamente non saranno in grado, l’esigenza di proroghe del termine all’infinito, si riproporrà l’identica situazione di tutti gli altri reati e lo “stop al processo” potrà intervenire ben prima di quando sarebbe maturato, senza la riforma, il lunghissimo termine “ordinario” per la loro prescrizione.

Unica consolazione è che questo originale sistema che sta per esserci regalato dal Parlamento dovrebbe applicarsi solo ai fatti commessi in data successiva al 1/1/2020 e, quindi, i suoi effetti concreti non saranno visibili prima di sette/otto anni, tempo che auspicabilmente sarà utilizzato per allineare i nostri standard di durata di tutti i processi a quelli di un’effettiva ragionevolezza, così relegando a casi eccezionali l’applicazione del “compromesso politico” che il Parlamento ci sta regalando; ma per fare questo sarà necessaria una vera e coraggiosa riforma dell’intero sistema Giustizia non essendo sufficiente l’introduzione, a volte affastellata, di deboli misure di ritocco.

Se ciò non dovesse avvenire, sappia la generazione futura che dovrà fare i conti con le conseguenze sociali di un sistema che, pur con tutti i suoi buoni propositi, faciliterà l’impunità per i reati più gravi e consentirà di allungare i tempi dei processi per i reati minori.