L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia pone profondi problemi etici, sociali, economici e diplomatici ma ha anche uno specifico aspetto che in questi giorni di grande preoccupazione è stato poco approfondito.

Esiste, oltre la responsabilità dello Stato aggressore di fronte alla comunità internazionale degli altri Stati anche una responsabilità penale personale degli autori dei crimini contro la pace, dei crimini di guerra, dei crimini contro l’umanità e del crimine di genocidio ?

La risposta è, sotto più profili, positiva e la capacità deterrente della sanzione penale a carico dei singoli responsabili di tali crimini internazionali non dovrebbe essere sottovalutata nello strumentario politico e diplomatico della gestione del conflitto.

In generale, i soggetti responsabili dei crimini internazionali sopra menzionati possono essere chiamati a rispondere delle loro azioni avanti la Corte Penale Internazionale, organo giudiziario indipendente, complementare alle giurisdizioni nazionali, istituito con un trattato internazionale, noto come Statuto di Roma, entrato in vigore il 1/7/2002.

La giurisdizione della Corte Penale Internazionale, oltre che su impulso diretto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, può, però, ordinariamente essere esercitata solo se il responsabile del crimine o il territorio nel quale tale crimine è stato commesso appartiene a uno Stato Parte dello Statuto di Roma, ad uno Stato cioè che attraverso la ratifica o l’adesione al trattato internazionale istitutivo della Corte faccia parte di quel sistema convenzionale, ovvero a uno Stato che, pur non avendo ratificato lo Statuto di Roma, abbia dichiarato di accettare la giurisdizione della Corte su alcuni specifici crimini. Per il solo crimine di aggressione vige una regola diversa e più rigida dato che la Corte può esercitare la sua giurisdizione su tale crimine solo quando siano Stati Parte dello Statuto sia lo Stato del quale l’autore del crimine ha la nazionalità, sia lo Stato nel quale il crimine è stato commesso e solo per gli eventi successivi al 17/7/2018, data di entrata in vigore dell’emendamento allo Statuto, adottato a Kampala, che ha definito nel dettaglio i contorni del “crimine supremo contro la pace” e ha delineato le condizioni per l’esercizio della giurisdizione della Corte nei confronti degli autori delle condotte incriminate, emendamento che l’Italia ha ratificato il 10/11/2021, depositando poi il 26/1/2022 il relativo strumento di ratifica.

Detto questo in linea generale, con particolare riferimento all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia va evidenziato che nè lo Stato invaso nè lo Stato invasore hanno mai ratificato lo Statuto di Roma.

Ne deriva, con certezza, l’impossibilità che i responsabili del crimine di aggressione possano essere tratti a giudizio avanti la Corte Penale Internazionale.

Per quanto riguarda, invece, i crimini di guerra, che riguardano le modalità illecite di conduzione delle operazioni belliche, ad esempio l’attacco a civili non armati o il bombardamento di ospedali, scuole, chiese o obiettivi civili in genere, l’Ucraina aveva già accettato la giurisdizione della Corte Penale Internazionale.

Infatti, sia per i crimini contro l’umanità in relazione alle proteste di Piazza Indipendenza a Kiev represse con violenza dal precedente governo alla fine del 2013 e nei primi mesi del 2014, sia in relazione ai crimini di guerra correlati al tentativo di annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014 e al contemporaneo e prolungato scontro armato tra governo e forze separatiste nella parte orientale del proprio territorio, l’Ucraina aveva regolarmente depositato due distinte dichiarazioni di accettazione della giurisdizione della Corte.

Sulla base di tale espressione di volontà dello Stato nel cui territorio si erano verificati i fatti il Pubblico Ministero presso la Corte Penale Internazionale aveva iniziato un’investigazione preliminare, tesa a verificare se vi fossero le condizioni per aprire una vera e propria indagine formale in relazione a uno o più crimini di competenza della Corte commessi in tali circostanze. Tale indagine preliminare era terminata nel dicembre del 2020 e gli atti raccolti erano in fase di valutazione nel momento in cui la Russia ha dato inizio all’invasione armata anche di altra parte del territorio ucraino.

Tale nuova circostanza ha accelerato le decisioni del Pubblico Ministero che, mentre non sembra abbia trovato elementi sufficienti per procedere in relazione ai fatti di Piazza Indipendenza, ha preannunciato di voler dare inizio all’indagine formale non solo in relazione ai crimini di guerra e contro l’umanità ipotizzabili per i fatti di Crimea e dell’Est Ucraina, e già dettagliati all’esito dell’investigazione preliminare, ma anche per quelli relativi all’ulteriore attacco armato sferrato dalla Russia nei confronti dell’Ucraina in questi giorni.

Per poter, quindi, dare inizio alla vera e propria fase delle indagini formali sarà ora necessario che la Camera Preliminare della Corte conceda al Pubblico Ministero la prevista autorizzazione per agire ex officio ovvero che uno degli Stati Parte trasmetta alla Corte una formale segnalazione nella quale manifesta la propria volontà che il caso venga esaminato, segnalazione che già la Lituania, Stato Parte dello Statuto di Roma, ha preannunciato di voler depositare.

Questa la situazione attuale sul fronte della Corte Penale Internazionale, con l’unica incognita della possibilità che nei procedimenti che seguiranno possa essere contestata la validità dell’accettazione della giurisdizione della Corte da parte dell’Ucraina anche per fatti molto successivi al 2014 e in porzioni di territorio diverse da quelle oggetto di tale dichiarazione. Vero, però, che a fugare tale perplessità basterebbe una nuova dichiarazione di accettazione della giurisdizione con specifico riferimento ai fatti accaduti in questi giorni, mentre per eventuali fatti futuri sarebbe preferibile che intervenisse la ratifica dello Statuto da parte dell’Ucraina.

Il ruolo della giustizia penale di fronte alla guerra, però, non si ferma alle porte della Corte Penale Internazionale, avendo anche le giurisdizioni nazionali un ruolo significativo da poter giocare.

E non solo, e ovviamente, la giurisdizione nazionale ucraina, sede naturale dei procedimenti per fatti accaduti nel proprio territorio, ma anche tutte le diverse giurisdizioni nazionali, in particolare quelle degli Stati Parte dello Statuto di Roma.

Per il crimine di aggressione e per quei crimini di guerra che per motivi vari, a partire dai limiti della competenza della Corte ai soli reati che assumono particolare gravità, non potranno essere perseguiti dalla Corte Penale Internazionale, potrà, infatti, essere esercitata direttamente dai singoli Stati la propria giurisdizione extraterritoriale, che in relazione ai crimini internazionali è più corretto definire giurisdizione universale, che consente di processare e punire, a determinate condizioni, anche gli stranieri che commettono all’estero gravi crimini in danno di vittime non italiane. Una giurisdizione, quindi, che si esercita anche se non è presente nessuno dei criteri di collegamento con il crimine che tradizionalmente fondano il potere giurisdizionale penale dello Stato (territorio ove è commesso il fatto, nazionalità dell’autore, nazionalità della vittima).

Non sarebbe, d’altronde per lo Stato italiano, una particolare novità dato che la giurisdizione universale è già stata utilizzata per processare e punire autori stranieri di crimini efferati commessi fuori dal territorio nazionale in danno di vittime straniere, come ad esempio a Milano nel 2017 per il processo ad un torturatore di migranti libico per fatti avvenuti in Libia in danno di vittime provenienti da vari paesi africani; o a Siracusa, nei primi anni del secolo, per il processo al responsabile libanese del naufragio della “nave fantasma”, avvenuto in acque internazionali, nel quale persero la vita oltre 250 migranti indiani, pakistani e cingalesi.

L’Italia, infatti, riconosce e regola la propria giurisdizione extraterritoriale sui crimini più gravi prevedendo all’articolo 7 del suo codice penale la punizione anche dello straniero che commette in territorio estero ogni reato per il quale le convenzioni internazionali stabiliscono l’applicabilità della legge penale italiana e stabilendo al suo articolo 8 che, su richiesta del Ministro della Giustizia, sia punito secondo la legge italiana anche lo straniero che commette all’estero un delitto politico, cioè ogni delitto che offende un interesse politico dello Stato o che, pur essendo un delitto comune, sia determinato, in tutto o in parte, da motivi politici.

L’articolo 10 dello stesso codice penale, infine, consente, sempre a richiesta del Ministro della Giustizia, e purché il responsabile si trovi nel territorio nazionale, la punizione dei delitti commessi fuori dal territorio nazionale dallo straniero in danno di altro straniero o di uno Stato estero.

Né tali azioni giudiziarie sarebbe in contrasto con lo spirito dello Statuto di Roma che, al contrario, sollecita in prima battuta le giurisdizioni nazionali ad intervenire per porre termine all’impunità degli autori di crimini così gravi, riservandosi di procedere solo in caso di inerzia o malfunzionamento dei sistemi giuridici nazionali.

Non a caso nel Preambolo dello Statuto di Roma è riconosciuto che “crimini di tale gravità, che minacciano la pace, la sicurezza ed il benessere del mondo non devono restare impuniti” e “la loro effettiva repressione deve essere assicurata attraverso l’adozione di idonee misure a livello nazionale ed il rafforzamento della cooperazione internazionale” ponendo “termine all’impunità degli autori di tali crimini e contribuendo in tal modo alla prevenzione di nuovi crimini”, tanto che “è dovere di ogni Stato esercitare la propria giurisdizione penale sui responsabili di crimini internazionali”.

E anche il Parlamento Europeo nella sua Risoluzione del 4/7/2017 sulla “lotta contro le violazioni dei diritti umani nel contesto dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità compreso il genocidio“, al paragrafo 52 “chiede agli Stati membri di applicare il principio di giurisdizione universale per la lotta all’impunità e ne ricorda l’importanza per l’efficacia e il corretto funzionamento del sistema di giustizia penale internazionale” e “di perseguire i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità nelle loro giurisdizioni nazionali anche quando essi siano stati commessi in paesi terzi o da cittadini di paesi terzi“.

La giustizia penale nazionale e internazionale, quindi, può e deve giocare un ruolo decisivo nel processo di pace da tutti auspicato. Alla violenza deve certo essere opposta adeguata resistenza, ma se la volontà bellica vuole essere definitivamente superata non c’è altra strada che quella di perseguire la giustizia, senza la quale la guerra potrà momentaneamente essere sopita ma mai superata nell’animo di chi aspetta o teme vendetta. E’ il monito di Papa Giovanni Paolo II che dovrebbe ora guidare le azioni di tutti gli attori impegnati nello scenario bellico e diplomatico: “se cerchi la pace, lotta per la giustizia”.

La poca attenzione sinora dedicata al ruolo della giustizia penale nei processi di pace non è, quindi, un segnale positivo, ma il tempo per la sua rivalutazione non è certo terminato.