C’è stato momento storico nel quale all’orizzonte del superamento della crisi pandemica è finalmente apparso il vaccino. Il tema più scabroso, quello che ancora oggi divide profondamente, è stato subito, per il Governo, quello della scelta di imporre o meno l’obbligo di ricorrervi.

Nella consapevolezza delle difficoltà, anche di ordine costituzionale, di pervenire a un trattamento obbligatorio, anche in ragione dell’impossibilità di giustificarne la completa efficacia su dati scientifici consolidati, data la carenza di tempo per la valutazione di suoi effetti su campioni di popolazione significativi e considerata la probabile incapacità del vaccino, dimostrata tale poi nel tempo, di evitare radicalmente la diffusione del contagio al quale restano, infatti, esposti, pur se probabilmente solo in relazione a varianti del virus successive, anche coloro che hanno completato il ciclo vaccinale, si è scelto, a mio avviso condivisibilmente, di puntare su una forte campagna educativa e su una imponente macchina organizzativa tesa a facilitare quanto più possibile l’accesso al vaccino.

L’approccio prescelto è andato in crisi una prima volta nel momento in cui sono emerse percentuali non giustificabili di effetti avversi di uno specifico prodotto vaccinale su una ben individuata categoria di persone ( le donne sopra i 50 anni e i soggetti fragili in ragione di alcune patologie pregresse) inizialmente negate radicalmente dal Governo e, successivamente, ammesse utilizzando per tale categorie un prodotto vaccinale diverso. La seconda volta, poco dopo, anche in considerazione del forte rallentamento che la diffusione della notizia e la perdita di credibilità dovuta alla negazione di un fatto dimostratosi rapidamente vero avevano provocato nell’incedere della campagna vaccinale di massa, con la scelta di introdurre, con lo scopo dichiarato di incentivare il numero di vaccinazioni, la limitazione di qualsiasi attività lavorativa o sociale ( il cosiddetto Green Pass) per coloro che non intendevano sottoporsi volontariamente a una vaccinazione che, formalmente, restava non obbligatoria.

Volendo prescindere da problematiche correlate a particolari categorie di dipendenti pubblici o di soggetti appartenenti a settori specifici la cui attività è condizionata dal controllo pubblico, per i quali si pone la questione se il requisito della vaccinazione, così come altri requisiti, può essere legittimamente richiesto per l’esercizio della specifica attività pubblica o di rilevanza pubblica in concreto esercitata, una grossa frattura sociale si è creata in relazione a quei soggetti che, appartenenti o meno a tali categorie particolari, hanno ritenuto, per motivi personali, di non aderire all’invito alla vaccinazione e sono stati, di conseguenza, posti ai margini della vita sociale con ripercussioni anche profonde, tra l’altro, sulla propria attività di lavoro e sulla possibilità di accesso alle cure per malattie diverse.

Pur non condividendo la scelta personale di sottrarsi alla vaccinazione, credo però che sia troppo sbrigativo, ingeneroso e, probabilmente, ingiustificato, se non ingiusto, aver liquidato la questione come se si trattasse solo di capricci di un ridotto numero di disagiati intellettuali o sociali e non di un rilevante problema di delicato equilibrio tra il diritto dello Stato di pretendere o incentivare determinate condotte, ritenute socialmente utili o necessarie, e le libertà individuali.

Tanto rilevante tale aspetto del problema da essere stato addirittura oggetto di uno specifico Regolamento dell’Unione Europea (Regolamento UE 2021/953 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14/06/2021) teso, come si legge nella sua parte motiva, a uniformare il rilascio e l’applicazione dei certificati digitali COVID 19 “non discriminatori”, a favorire “la graduale revoca delle restrizioni” e a “facilitare l’applicazione dei principi di proporzionalità e di non discriminazione per quanto riguarda le restrizioni alla libera circolazione durante la pandemia da COVID-19 perseguendo nel contempo un elevato livello di protezione della salute pubblica”. Un Regolamento che “non dovrebbe essere inteso come un’agevolazione o un incentivo all’adozione di restrizioni alla libera circolazione o di restrizioni ad altri diritti fondamentali, in risposta alla pandemia di COVID- 19, visti i loro effetti negativi sui cittadini e le imprese dell’Unione”.

Un Regolamento attraverso il quale, infine, si ribadisce l’impegno comune degli Stati Membri dell’Unione Europea in base al quale “E’ necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, per esempio per motivi medici, perché non rientrano nel gruppo di destinatari per cui il vaccino anti COVID- 19 è attualmente somministrato o consentito, come i bambini o perché non hanno ancora avuto l’opportunità di essere vaccinate o hanno scelto di non essere vaccinate. Pertanto il possesso di un certificato di vaccinazione non dovrebbe costituire una condizione preliminare per l’esercizio del diritto di libera circolazione o per l’utilizzo di servizi di trasporto passeggeri transfrontalieri quali linee aeree, treni, pullman, traghetti o qualsiasi altro mezzo di trasporto. Inoltre il presente regolamento non può essere interpretato nel senso che istituisce un diritto o un obbligo a essere vaccinati

Affermazioni, come si vede, piuttosto nette, delle quali in Italia non sembra essersi tenuto adeguatamente conto e delle quali, anzi, non si è neppure parlato, nonostante l’affermato europeismo convinto di quasi tutte le forze politiche e l’estrema rilevanza sociale del problema affrontato dalla normativa europea.

A tale anomala carenza di attenzione al quadro europeo di riferimento contenuto nel citato Regolamento ha probabilmente contribuito una banalissima disattenzione che, però, per essere sin troppo puntuale e specifica su un tema molto sensibile per il Governo italiano dell’epoca, si fa difficoltà a credere si tratti di semplice coincidenza piuttosto che della volontà, anche inconscia, di qualche funzionario italiano addetto al servizio traduzione dei testi normativi europei talmente attento a non urtare la sensibilità politica del Governo italiano da giungere ad alterare il contenuto del testo normativo votato dalle istituzioni europee.

Si è infatti verificato che nella versione italiana del testo del Regolamento, come pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea,  sia stata completamente omessa la frase, presente nelle versioni pubblicate in tutte le altre lingue dell’Unione, riferita alla necessità di evitare la discriminazione di persone che “hanno scelto di non essere vaccinate”. Queste poche, ma molto significative, parole sono letteralmente sparite dalla versione italiana del testo normativo pubblicata in Gazzetta Ufficiale che, come è noto, è l’adempimento che consente alle leggi di acquisire, esattamente così come pubblicato, efficacia legale.

Qualsiasi italiano, compresi i tecnici dei servizi di supporto al Parlamento e al Governo, consulta, ovviamente, la normativa dell’Unione Europea solo nella versione redatta nella propria lingua che non può non coincidere con le versioni redatte in tutte le altre lingue, così che, essendo stata quella frase del tutto omessa nel testo del Regolamento pubblicato in italiano nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea è stato possibile pensare, per chi consultava, anche molto attentamente, il testo normativo, che, contrariamente al vero, esso non contenesse alcun divieto esplicito di discriminare coloro che si sarebbero sottratti volontariamente alla vaccinazione.

Qualche giurista più meticoloso, o magari solo leggermente antipatico, ha però notato la strana omissione e la questione è divenuta poi oggetto specifico dell’interrogazione proposta da un deputato europeo alla Commissione per ottenere chiarimenti su “come si intende intervenire per sanare il vulnus del testo in lingua italiana anche al fine di non lasciare spazi per interventi normativi nazionali volti a discriminare chi legittimamente decide di non vaccinarsi”.

La soluzione adottata è stata quella di pubblicare un'”errata corrige” in una successiva Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea , riportando la sola parte di testo omessa e avvisando che si era trattato di un semplice e banale errore dei curatori della versione italiana che avevano dimenticato di inserire tale frase che, invece, faceva e fa parte integrante e a pieno titolo del dettato normativo.

Certo è che chi ancora oggi consulta la Gazzetta Ufficiale ove è pubblicato il testo del Regolamento in italiano lo trova privo del riferimento al divieto di discriminare chi “ha scelto di non vaccinarsi” ed è ben difficile che alzi l’ingegno e consulti qualche altra Gazzetta Ufficiale, peraltro successiva di quasi 15 giorni, per andare a scoprire che esiste anche un altro minuscolo pezzettino di quella normativa che il nostro servizio traduzioni si era dimenticato di inserire, nonostante fosse un’indicazione di condotta estremamente rilevante proprio sulla questione in quel momento storico più scottante e controversa per il nostro governo, che aveva scelto, a torto o a ragione, di reprimere anche con la forza le manifestazioni di coloro che chiedevano di non essere discriminati per aver scelto di non vaccinarsi.

Anche di questo non si è parlato molto e anche chi dell’Europa fa la propria bandiera politica si è guardato bene dal porre con serietà un problema che, come visto, non è inventato dal nulla, ma che esiste ed è molto più complesso di come viene comunemente rappresentato all’opinione pubblica, e che merita riflessioni più serene, acute e puntuali, sino ad oggi rese impossibili da sterili polemiche politiche e strumentalizzazioni a scopo elettorale che non hanno saputo cogliere la delicatezza di individuare un punto di equilibrio mobile, costantemente rapportato al concreto divenire delle esigenze dettate dell’emergenza, tra i diritti dello Stato di imporre le regole e quelli inalienabili degli individui che di tale entità collettiva non sono sudditi, ma cittadini.

La ragionevole linea di condotta dettata dall’Europa sembra chiara: i vaccini contro il COVID 19 non possono essere obbligatori ed è necessario non compiere discriminazioni in danno di chi sceglie di non essere vaccinato, applicando con scrupolo il principio di proporzionalità delle misure di contrasto alla pandemia, con particolare attenzione al rispetto dei diritti fondamentali. Siamo in grado di svolgere un dibattito sereno e approfondito sulla scelta politica di dove avrebbe dovuto ricadere, ma soprattutto dove oggi debba ricadere, il punto di equilibrio tra inaccettabili divieti generalizzati e altrettanto inaccettabili rifiuti generalizzati ?