Nel consueto silenzio sui problemi “veri”, quelli che rendono difficile la vita ordinaria di un paese normale, si sta snodando in Italia una vicenda grave, simbolica del cattivo funzionamento delle istituzioni.
Tantissimi bambini ucraini orfani vivevano nel loro paese prima che lo stesso venisse aggredito dalla Russia, affidati a istituzioni pubbliche o convenzionate assimilabili ai nostri orfanatrofi o case famiglia.
Per l’ordinamento ucraino i titolari degli orfanatrofi erano i loro tutori legali e analoga veste veniva fornita dallo Stato ucraino, di volta in volta, ai responsabili delle case famiglia ove venivano affidati minori.
Allo scoppio della guerra tanti titolari di orfanatrofi e di case famiglie hanno cercato di sottrarre gli orfani agli orrori della guerra portandoli con sé in altri paesi europei sino alla cessazione delle ostilità, in attesa di tornare a vivere in sicurezza in Ucraina.
Una sgradita sorpresa ha accolto, però, coloro che cercavano riparo in Italia.
Alcune Procure presso i Tribunali per i Minorenni non hanno riconosciuto lo status di tutore legale dei loro accompagnatori e li hanno affidati a un tutore volontario, spesso un avvocato, considerandoli minori stranieri non accompagnati e, quindi, aprendo la strada per l’affidamento e l’adozione degli orfani in Italia.
Ciò ha comportato, come primo effetto, il distacco dei bambini non solo dalla persona che li aveva messi in salvo, attraversando insieme scenari bellici e affrontando un lungo viaggio, ma dalla piccola comunità della quale facevano parte con gli altri orfani.
Nel medio e lungo termine ciò potrebbe legittimare l’affidamento e l’adozione degli orfani in Italia con la conseguenza che per gli stessi non sarà più possibile tornare nel loro paese di origine al termine delle ostilità.
Senza voler, ovviamente, neanche proporre un paragone tra le due azioni, non vi è dubbio, però, che gli effetti concreti di questo approccio giudiziario al problema non sono dissimili da quelli della deportazione dei bambini ucraini in Russia che molti, non senza ragione, inseriscono in una pianificazione genocidiaria della Russia nei confronti degli Ucraini, tesa a cancellare la loro lingua, la loro cultura e il loro senso di appartenenza a un popolo del quale si vuole cancellare il futuro.
La questione giuridica forse è spinosa e più che comprensibile è la preoccupazione dell’autorità giudiziaria di impedire che, attraverso lacune o incertezze normative, si infiltrino nel sistema di accoglienza gli speculatori senza scrupoli che intendono mercificare i bambini e che la storia di ogni conflitto ci ha inevitabilmente consegnato come amara realtà.
Esiste però una convenzione dell’Aja del 1996 che sembra dare risposte abbastanza certe in termini di tutela per questi orfani, ma la mia opinione conta ben poco, e va rapportata alla nostra normativa nazionale.
Questo coordinamento tra norme nazionali e internazionali può provocare incertezza e decisioni contrastanti, come puntualmente avvenuto in Italia ove alcuni Tribunali hanno convalidato le nomine dei tutori volontari italiani e altri le hanno revocate riconoscendo invece validità alla figura del tutore legale ucraino che aveva accompagnato in Italia i minori.
E qui stanno le note dolenti di un paese, il nostro, che rivendica un ruolo internazionale, ma è in perenne rincorsa nell’adempiere ai propri obblighi fissati nelle convenzioni internazionali: quella dell’Aja del 1996, ad esempio, prevedeva che in ogni paese venisse istituita un’autorità centrale alla quale rivolgersi per ogni possibile dubbio attinente l’esecuzione dei patti stipulati tra le nazioni sul destino dei minori e attraverso la quale dialogare con l’omologa istituzione del paese di origine del minore anche per avere certezze sullo status giuridico dell’accompagnatore del minore e sull’effettività e correttezza della sua nomina di tutore legale del bambino nel paese di origine: l’Italia non ha istituito tale autorità con la conseguenza che i compiti sono rimasti in capo alla presidenza del consiglio che, probabilmente, ha solo un’idea vaga del tema e della sua attualità e non ha preso ad oggi nessuna posizione in merito.
A nulla sino ad oggi sono serviti gli interventi della autorità per i minori ucraina e della stessa ambasciata ucraina in Italia che hanno rivendicato, in base alla convenzione, la competenza esclusiva del proprio paese sullo status di questi piccoli cittadini e hanno invocato il diritto di questi bambini a tornare un giorno nella loro patria e a sviluppare la propria personalità nella loro lingua, con i propri costumi e con la propria tradizione.
E anche questo è in linea con l’autonomia che l’Italia riserva alla magistratura, le cui decisioni non possono essere subordinate a volontà politiche estere o interne.
Ma su un tema così urgente e attuale, così fondante il futuro di bambini già gravemente traumatizzati che scappano da un conflitto armato, sarebbe stato chiedere troppo, se non istituire di gran corsa l’autorità interna prevista dalla Convenzione, almeno emanare una circolare interpretativa ministeriale, con tutti i possibili limiti, ma che costituisse indicazione utile per tutti i magistrati che si sarebbero trovati ad affrontare il problema in modo da tendere ad avere una posizione unica ? Sarebbe stato chiedere troppo se i vari e importanti uffici studi delle istituzioni avessero redatto un dossier informativo e lo avessero distribuito ai magistrati astrattamente competenti ad intervenire ? Sarebbe stato chiedere troppo che un’università statale di giurisprudenza avesse sentito il dovere di affrontare a fondo la questione e offrire il proprio contributo agli operatori del diritto ?
Se su questioni così strazianti a Bolzano si decide una cosa e a Palermo un’altra, il risultato, qualunque esso sia, può mai essere considerato giusto ?
L’effetto di tutto ciò è stato semplice.
Malgrado le migliori intenzioni di tutti coloro che, ciascuno dalla propria posizione, sono intervenuti per assicurare al minore la migliore tutela e accoglienza, gli orfani ucraini non cercano più riparo in Italia, terra considerata pericolosa perché a rischio di non far più rientrare in Ucraina i bambini.
Alla ricerca della migliore accoglienza, tra lacune organizzative e interpretazioni normative sempre più libere, l’Italia è riuscita, quindi, a negare qualsiasi accoglienza a piccoli orfani in fuga dalla guerra.
E di questo, chiunque tra i magistrati abbia ragione, non possiamo, come italiani, che vergognarci.
Ora per i prossimi mesi ci occuperemo di promettere 1.00 euro ai giovani o agli anziani, di assicurare che “gli altri” sono inetti o pericolosi, di eterne lotte all’evasione fiscale o di eterni condoni, di nuove mirabolanti tasse, di tanti bla bla generici; ma intanto i veri nodi, a cominciare dall’affidabilità internazionale del nostro paese e dall’assicurare ai diritti percorsi certi, celeri e uguali per tutti, sono quelli che si presentano quotidianamente e non vengono affrontati da nessuno.
Anzi, ad onor del merito, devo aggiungere che, quanto meno, due parlamentari ( in campagna elettorale non indico il partito di appartenenza per timore di snaturare il contenuto della mia riflessione ) hanno anche proposto un’interrogazione al Governo. Ma che io sappia dal Governo non è giunta alcuna risposta; il destino degli orfani in fuga dalla guerra non è stato considerato, evidentemente, prioritario.
Aspettiamo, quindi, che si presenti il prossimo nodo per dare materia di discussione ai giuristi, decisioni contrastanti e lasciare irrisolte le questioni.
L’esempio forse più banale. Dopo venti anni dall’istituzione della Corte Penale Internazionale con una convenzione che si chiama “Statuto di Roma”, per essere stata approvata nella nostra capitale, non abbiamo ancora inserito nel nostro ordinamento il codice dei crimini internazionali per esercitare la giurisdizione universale sui crimini di guerra, i crimini contro l’umanità, il genocidio e la guerra di aggressione. A fine maggio, dopo meno di tre mesi di lavori svolti al ritmo che l’urgenza imponeva, una commissione ministeriale, della quale ho avuto l’onore di fare parte, ha consegnato la bozza del codice dei crimini internazionali alla Ministra della Giustizia, che aveva meritoriamente promosso l’iniziativa.
Avrebbe dovuto, e potrebbe ancora, avere un percorso legislativo privilegiato, caratterizzato dalla necessità e dall’urgenza che la situazione internazionale impone, ma poi le questioni elettorali hanno preso il sopravvento e le cose concrete sono passate in secondo piano. Come se la politica fosse solo la scelta di chi deve governare, non quella delle cose da fare. Come se in Parlamento qualcuno potesse essere contrario a punire in Italia gli autori di stupri, saccheggi e omicidi contro persone rese inermi dal conflitto: si teme forse di perdere il voto di chi, in fondo al suo cuore ideologicamente oscurato, ritiene che la guerra può essere giusta, o almeno inevitabile, e giustifica in tale contesto ogni azione, anche la più spregevole ?
Quando arriverà in spiaggia in Sardegna o a Riccione un criminale di guerra ci accapiglieremo, quindi, ed è facile previsione, per capire se è giusto o meno arrestarlo, se si applica o meno qualche convenzione, se …. se ….. se ………
Ma la risposta è sempre la stessa: se avessimo fatto quanto era giusto fare non ci sarebbe spazio per le ipotetiche alle quali sembriamo tanto affezionati.
Albert Camus ha detto, con molta ragione, che “le vittime arrivano, infine, alla loro estrema disgrazia: annoiano”.
Io non riesco, invece, a dimenticarle e non mi annoiano affatto: continuo a chiedere che ciascuno faccia il poco o molto che è in suo potere per dare accoglienza e assistenza non controverse ai minori orfani che fuggono dalla guerra, senza negargli il diritto a tornare a contribuire alla ricostruzione del proprio paese, e per dare la giusta retribuzione penale agli autori di crimini internazionali che volessero approfittare del vuoto normativo per prendersi una rilassante vacanza in Italia come intervallo tra uno stupro e un omicidio di civili o prigionieri di guerra.