Nel contrasto alla diffusione della pandemia COVID 19, la Regione Siciliana, e per essa il Presidente Musumeci e l’Assessore Razza, ha fatto, di recente, passi avanti molto significativi.
L’acquisto diretto dei dispositivi di protezione individuale, sganciandosi dal carrozzone statale della Protezione Civile che non è stato in grado di acquisire tempestivamente le forniture; la scelta di fornire ogni città di una struttura nella quale isolare i soggetti per i quali è ragionevole ipotizzare l’avvenuto contagio (a Siracusa l’ASP ha oggi nella propria disponibilità la Casa del Pellegrino, grazie alla immediata disponibilità del Rettore del Santuario della Madonna della Lacrime); l’avvenuto accreditamento sul territorio di molti più laboratori di analisi rispetto a quelli inizialmente previsti solo nelle tre città metropolitane; l’avvio di uno screening fondato sulle analisi del sangue. Tutte scelte che consentono una strategia di contenimento certamente più efficace di quella eseguita sino ad oggi.
Ma esiste ancora una direttiva nazionale, recepita anche a livello regionale, in base alla quale le Aziende Sanitarie devono eseguire i tamponi solo ai pazienti sintomatici.
Tali indicazioni si sono già rivelate fallimentari a livello nazionale, tanto che hanno subito una prima revisione, con la previsione dell’allargamento, ma solo a partire dal 9/3/2020, della platea dei soggetti ai quali è necessario effettuare il tampone, inizialmente ristretta solo a coloro che provenivano da zone infette.
E’ un protocollo che, a livello regionale, va urgentemente ripensato.
A rigor di logica, infatti, mi perdoneranno gli esperti, tale impostazione della strategia di contenimento è evidentemente sciocca: non sottoponendo a tampone le persone che devono, per esigenze di servizio, venire a contatto con altre persone, la diffusione del virus non potrà mai essere interrotta.
Non sottoponendo a tampone e/o non isolando i soggetti che sono stati a contatto diretto con casi conclamati di coronavirus, la fondamentale indagine epidemiologica per identificarli rimane priva di concreta utilità.
Sapere e dire che il pericolo sono gli asintomatici e non porvi alcun rimedio è, ancora oggi, il grande buco nero della strategia di contenimento della diffusione del virus.
Lo sostengo da molti giorni, ed ho sottolineato tale criticità nel corso delle interviste che in questo periodo mi sono state richieste.
Non ho alcuna carica od autorità che mi consenta di imporne l’adozione o di suggerirla, né ho competenze sanitarie, ma ho sempre creduto che la forza della ragione possa sconfiggere la ragione della forza o, se si preferisce, dell’autorità.
Per i contatti esterni occasionali, nella situazione di emergenza che viviamo, è necessario accettare l’approccio protocollare, limitandoci a ridurre le probabilità di contagio solo attraverso le distanze sociali e la mascherina. Non siamo, infatti, nelle condizioni di effettuare uno screening di massa e dobbiamo prenderne atto.
Ma di chiunque debba entrare in una struttura ospedaliera (ma il discorso vale anche per le carceri, le case di cura e di riposo, i conventi e le comunità in genere) sia che abbia problemi al cuore, alla circolazione, si sia procurato una frattura o segua una cura oncologica (chi non ne ha necessità è ovvio che in questo periodo non passa neanche da lontano da un ospedale) bisogna avere certezza che non sia portatore, eventualmente sano ed asintomatico, del virus: diversamente la diffusione del contagio è automatica ed inevitabile.
Lo stesso vale per i cassieri del supermercato, per le forze dell’ordine, per gli impiegati della banca e delle poste, per i tabaccai, per i farmacisti; per tutte le persone, insomma, che non solo si espongono al contagio, per consentire a tutti noi la prosecuzione delle attività quotidiane indispensabili, ma sono essi stessi potenziale fonte di esteso contagio per il numero elevato ed indeterminato di persone con le quali vengono in contatto: di ciascuno di essi, per la loro e l’altrui sicurezza sanitaria, a prescindere dalla presenza di eventuali sintomi, dovrebbe aversi certezza che non sono portatori del virus.
Lo stesso, ovviamente, vale per coloro che, essendo stati a diretto contatto con soggetti contagiati, hanno, pur essendo asintomatici, consistente probabilità di essere stati a loro volta contagiati e non possono essere reinseriti in un percorso di comunità, neanche familiare, se non quando si ha certezza che tale rischio è stato scongiurato o, comunque, superato. Diversamente le probabilità di ulteriore diffusione del virus restano estremamente elevate.
A chi guarda con lucidità ai fatti, forse perché non è chiamato in prima persona al fronte dell’emergenza, questa ovvietà razionale non può essere sfuggita; così come non può certo essere sfuggita la differenza tra la Lombardia, che ha seguito le indicazioni “pochi tamponi, solo se indispensabili” ed il Veneto che addirittura, i tamponi li ha fatti a tappeto, a prescindere da sintomi ed esposizione, isolando completamente tutti coloro che risultavano positivi, sintomatici o non sintomatici che fossero, trasgredendo le indicazioni del Governo centrale, ma ottenendo risultati importanti in termini di contenimento della diffusione del virus.
Le istituzioni diano le informazioni necessarie
Chiudo con la più banale delle domande, quelle che ci siamo posti tutti perché interessa ciascuno di noi ma che non ha ancora trovato risposta: cosa desideriamo oggi dai responsabili della sanità locale, Sindaci e ASP, noi cittadini, costretti a casa da questa emergenza, che stiamo facendo e vogliamo continuare a fare il nostro dovere di isolarci per quanto possibile, ma che conserviamo il diritto alla salute e ad ottenere cure adeguate e nutriamo anche il timore di doverne avere necessità ?
A chi dobbiamo rivolgerci e cosa dobbiamo aspettarci ?
Non dobbiamo recarci al Pronto Soccorso, ma chiamare il medico di base o contattare un operatore che risponde da un numero telefonico dedicato.
Sin qui semplice. Ma poi ?
Se il medico di base, dopo aver provato a curarci in modo tradizionale, o l’operatore del call center si convince che possiamo essere stati contagiati e, preoccupato, suggerisca di chiedere il tampone per approfondire la diagnosi, questo accertamento poi viene fatto ?
E quali tempi sono necessari per il prelievo dei tamponi rispetto alla richiesta e per l’analisi dei reperti rispetto ai prelievi ?
E se si sono avuto contatti con un soggetto poi risultato positivo viene effettuato il tampone anche in assenza di sintomi ?
In attesa dell’esito del tampone o in caso di tampone positivo, quali provvedimenti vengono adottati, l’isolamento domiciliare o l’isolamento in una struttura dedicata ?
E chi effettua tale scelta ?
Chi valuta le nostre condizioni di salute durante la permanenza volontaria in casa o l’isolamento domiciliare ?
Chi valuterà le nostre condizioni cliniche e chi ci curerà nei giorni dell’isolamento domiciliare ? Come devono comportarsi i nostri familiari ? Devono usare dispositivi di protezione anche all’interno dell’abitazione ? Chi deve fornirli ? Possono e devono essere assunti dei farmaci ? Quali ?
Abbiamo diritto ad ottenere risposta a tutte queste domande da parte delle autorità sanitarie preposte, siano esse politiche o tecniche, con assunzione della relativa responsabilità.
Non ci basta più che vi ricordiate di noi solo per dirci di lavarci le mani, di restare a casa, di rispettare le distanze sociali e di non lavorare.
Lo abbiamo capito già da tempo e lo stiamo facendo al meglio e con enorme sacrificio, contribuendo in modo significativo al contenimento del contagio.
E ci siamo anche stancati di vuota retorica e di quotidiane parole mielose e ruffiane che, inizialmente rassicuranti, oggi iniziano ad essere gravemente indisponenti.
Noi cittadini stiamo facendo il nostro: ora vorremmo anche che vi occupaste direttamente di ciascuno di noi e oggi non lo state facendo.
E’ come se, segregandoci in casa, abbiate rimosso il problema e non ci consideriate più soggetti portatori di diritti, ma masse informi da dirigere e comandare.
Ma non è così. Non confondete il nostro senso di responsabilità con la dabbenaggine.
Vogliamo sapere
Vogliamo sapere che non saremo abbandonati nelle nostre abitazioni se attaccati dal virus e quali sono esattamente i nostri diritti in questo caso, perché, usando la ragione comune, siamo convinti che una cura adeguata ed attenta sin dall’inizio offra molte maggiori probabilità di guarigione di un respiratore alla fine del percorso.
Vogliamo sapere quando sarà possibile effettuare una campagna diffusa di prelievi per testare la positività al virus, soprattutto dei tanti soggetti che, nel comune interesse, stanno continuando la loro attività, a partire da chi opera nelle strutture sanitarie pubbliche e private.
Vogliamo sapere in quali casi, come e da chi, viene disposto l’isolamento, sia esso domiciliare o in struttura dedicata.
Vogliamo sapere se è già operativa a Siracusa, non solo sulla carta, la fondamentale Unità Speciale per la Continuità Assistenziale che deve occuparsi delle cure dei pazienti che si trovano a casa in isolamento domiciliare fiduciario o imposto. Vogliamo sapere come contattarla e quali servizi può e deve metterci a disposizione.
Vogliamo avere certezza sulla funzionalità delle strutture sanitarie ed anche sul livello delle loro effettive disfunzioni perché, oltre il virus, la vita sta continuando per tutti e le strutture sanitarie non servono solo per il contrasto dell’epidemia e la cura dei contagiati, ma la richiesta di prestazioni sanitarie riguarda anche situazioni altrettanto drammatiche per i singoli che vi sono coinvolti.
Vogliamo, in una parola, tornare a poter esercitare il nostro diritto alla salute, declinato anche sul versante della salute individuale e non solo su quello della salute pubblica.
L’art. 32 della nostra Costituzione recita chiaramente che“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Sinora abbiamo visto solo i tentativi, a volte maldestri, di tutelare l’interesse della collettività: è passato un lasso di tempo più che sufficiente per tornare a pretendere che gli sforzi siano indirizzati alla tutela della salute di ogni singolo individuo.
E il silenzio delle istituzioni in democrazia non è mai una virtù.